L’identificazione dei pazienti omosessuali, bisessuali e transgendere (LGBT) rappresenta un primo passo necessario per migliorare la loro assistenza chirurgica generica d’emergenza.
Sono in aumento le evidenze sulle disparità assistenziali fra le minoranze sessuali in ambito ambulatoiale, ma le evidenze sui problemi che i soggetti LGBT potrebbero affrontare nell’assistenza chirurgica sono frammentarie, e non è noto come questi problemi possano variare in base all’orientamento sessuale o all’identità sessuale.
Secondo Adil Hadler della Harvard Medical School di Boston, per quanto le evidenze suggeriscano che la conoscenza dell’orientamento sessuale di un paziente da parte del medico sia psicologicamente di beneficio per il paziente stesso ed aiuto a combattere i maltrattamenti storici ai soggetti LGBT, attualmente non sussistono approcci sistematici per garantire un addestraento per il chirurgo che lo renda in grado di provvedere un’assistenza incentrata sul paziente per questi soggetti.
I ricercatori hanno proposto diverse linee guida di base per rispondere alle specifiche necessità di questi pazienti, come evitare di fare affermazioni presuntive su sesso e comportamento, chiedere al paziente il suo nome e pronome preferito, assecondare il paziente su linguaggio e terminologia ed spiegare la necessità medica delle domande personali. Secondo alcuni esperti, tuttavia, questi sono solamente corollari del tutto insufficienti, in quanto sarebbe opportuno individuare mezzi per migliorare l’accesso all’assistenza ed i susseguenti esiti per la salute, tenendo conto di specifici parametri di successo esattamente come accade nelle altre specialità.
In ogni caso, sono in particolare le specialità che hanno la reputazione di risultare maggiormente discriminanti a doversi domandare non soltanto il modo in cui le attuali pratiche influenzano il paziente, ma anche il modo in cui la cultura specialistica e la discriminazione impattino gli stessi chirurghi LGBT ed i loro colleghi. (JAMA Surg online 2017, pubblicato il 26/4)


